Verde e grigio
Fucsie rosse e siepi di rododendri lilla delimitano la stretta striscia d’asfalto delle strade che si snodano tra lande e campi. I modesti pendii sono ricoperti dal giallo delle ginestre e le torbiere dal violetto dell’erica. Le macchie bianche punteggiate di colore sono le pecore al pascolo. A valle, un lago glaciale nero inchiostro; a ovest, il mare blu che si infrange contro le coste a picco.
Per contrastare il grigio della pietra presente ovunque – nelle recinzioni dei campi, nei detriti, nei megaliti, nelle rovine delle rocche e delle chiese – ecco le case nelle tinte più vivaci. Quando piove, e qui capita spesso, i colori diventano importantissimi, perché si ha quasi l’impressione che le famose “forty shades of green” siano in realtà quaranta sfumature di grigio. Ma da nessun’altra parte l’erba sembra così verde e le mura delle case così bianche come qui, quando dopo un acquazzone il sole irrompe tra le nuvole. In Irlanda si vivono momenti magici. Esiste davvero qualcuno che ha la pretesa di venirci con un bagaglio di costumi e creme solari?
Magica Irlanda
Quest’Irlanda esiste, “ma chi ci va e non la trova, non cerchi un risarcimento dall’autore”, avverte Heinrich Böll nel suo Diario d’Irlanda. Il giocatore di golf che alloggia all’hotel ricavato da un castello e l’autostoppista con il dizionarietto di gaelico nello zaino, l’amante della natura e l’amante della vita notturna: ognuno trova la sua Irlanda del cuore. C’è più di un’Irlanda, o per meglio dire, l’immagine di questo Paese nelle pubblicità per turisti lascia ampio spazio ai sogni di tutti.
Esiste davvero questo mito, che probabilmente aleggia anche nei pensieri più reconditi dei più critici fra i contemporanei: il mito di una terra bucolica, deliziosamente rétro, un po’ mistica, ricca di arte celtica, di persone religiose, aperte e con un atteggiamento generoso nei confronti della vita. “Quando Dio fece il tempo, ne fece in abbondanza”, dice un proverbio irlandese spesso citato. Quasi tutto questo corrisponde a verità: gli irlandesi non sono atei, né scortesi. Ma i tanto fotografati anziani con il cappello piatto e il bicchiere di birra in mano rappresentano solo un piccolo frammento della popolazione.
Tempi nuovi
Volenti o nolenti, gli irlandesi sono entrati nel mondo globalizzato del nuovo secolo, con tutto ciò che esso comporta: da un lato, uno standard di vita più elevato e la liberalizzazione delle attività e delle abitudini quotidiane, dall’altro la frenesia e l’ansia da prestazione, la perdita dei legami tradizionali, gli ingorghi cronici del traffico e i problemi di inquinamento ambientale. Tutto ciò interessa soprattutto Dublino e le grandi città. Il contrasto fra queste zone del boom “progredite” e le zone rurali tradizionali economicamente svantaggiate non potrebbe essere maggiore.
Chi ama l’Irlanda e la frequenta da decenni tende a deplorare i cambiamenti che senza dubbio ci sono stati dai tempi di Böll. Ma ponendosi una mano sul cuore, chi potrebbe dire sul serio qualcosa contro la ventata cosmopolita della gastronomia irlandese, contro lo standard più elevato del settore alberghiero e contro il fatto che i luoghi di interesse turistico ora aprono davvero agli orari indicati sulle insegne all’esterno?
Un pregiudizio che affiora ogni volta è stato però indebolito in via definitiva: solo il quattro per cento degli irlandesi ha i capelli rossi. E se bisogna credere a chi sostiene le teorie della genetica, questo colore dei capelli fa già parte, in quanto carattere ereditario recessivo, della lista rossa dei genomi a rischio.
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