Il libro racconta la memorabile e mai ripetuta traversata delle quattro vette di oltre 8000 metri del Kangchenjunga della primavera del 1989, nel corso della seconda spedizione sovietica in Himalaya. Una spedizione largamente sottovalutata in Europa Occidentale e negli Stati Uniti. Eppure, si trattò di un’impresa memorabile, che vide ben 85 salite in vetta al terzo ottomila della terra, in un’unica spedizione e senza incidenti. Alla traversata partecipò anche l’indimenticato Anatolij Bukreev, che aprì una nuova via per la vetta, senza fare uso di ossigeno supplementare.
Le recensioni
«Il libro, pubblicato nel 1991, è finalmente arrivato in Italia grazie alla traduzione di Iya Shakirzyanova e Paolo Ascenzi. Si tratta di un’opera che da risalto a una pagina di storia dell’alpinismo poco conosciuta e raccontata. La traversata, mai ripetuta, è stata infatti largamente sottavalutata in Europa Occidentale e negli Stati Uniti. Valutata però oggettivamente è una salita non solo degna di nota, ma rappresenta un unicum nel suo genere. Il volume, nello stile tipico dell’est, non sottolinea tanto le virtù e i meriti dei singoli alpinisti, ma descrive l’impresa come un successo collettivo, pur non mancando di riportare le inevitabili rivalità e i contrasti interni alla squadra.» (Montagna TV)
«L’aspetto più originale dell’impresa di trent’anni fa è che ognuno dei ventidue alpinisti raggiunse almeno una volta almeno una delle vette. Eppure c’è poco da scherzare col Kangch che un tempo si riteneva la vetta più alta dell’Himalaya. Non avrà la fama sinistra del Nanga Parbat, ma sono in parecchi tra gli scalatori di punta ad averci lasciato le penne. Non va dimenticato infatti che tra i “cinque tesori della grande neve” (questo il significato del termine Kangchenjunga) perse la vita la signora degli ottomila Wanda Rutkiewicz e mai più si rivide il simpatico, indimenticabile “petit prince de l’Himalaya” Benoit Chamoux dopo avere vagato da solo tra i ghiacci fino allo sfinimento totale.» (Fatti di Montagna)