Isola più estesa del Mediterraneo, bella come poche regioni del mondo, ricca di acque e di sole come le sue Sante di gemme e di ori, da sempre desiderata e concupita, violentata e presa, posseduta ma mai davvero conquistata, in fondo sempre sedotta e abbandonata, la Sicilia è aspra, a tratti acida e selvaggia, disubbidiente e subdola, noncurante e menefreghista, viziata, dispettosa, strafottente, anarchica. Ma suo malgrado ha il cuore tenero e il cervello acuto e quando ti avvicini a lei con il sorriso sulle labbra lei si toglie il pane di bocca e te lo chiude tra le mani.
La Sicilia è vecchia di migliaia di anni, navigata come i suoi antichi mari, rugosa come le sue antiche pietre, ma nell’anima è una bambina che non ha ancora avuto il modo e il tempo di diventare grande. La sua storia è stata infatti a più riprese interrotta dai popoli che, sbarcando nei suoi stupendi litorali, l’hanno di volta in volta assediata e ne hanno fatto luogo di saccheggio o appendice di un potere troppo distante e troppo distratto, cancellando spesso i segni della sua civiltà per conferirle quelli della propria, o talvolta sovrapponendoveli in un processo graduale, sempre interrotto tuttavia dalla comparsa di nuove, minacciose vele all’orizzonte.
Ironia della sorte, o forse presupposto psicologico di un destino accolto sempre con troppa rassegnazione, anche la Natura ha infuso nei Siciliani il senso di una grande precarietà e di un fatalismo poco lungimirante: terremoti, cataclismi ed eruzioni l’hanno nei millenni più volte ridotta in macerie, sotterrando testimonianze e artefatti di un passato inghiottito nel ventre della stessa terra che l’aveva partorito.
Pregnante metafora di queste dinamiche comuni agli eventi storici e naturali dell’Isola, le sorti dei suoi monumenti ed edifici di pregio, i quali nei secoli sono stati rimaneggiati, demoliti, ricostruiti, secondo appunto il capriccio dell’uomo e della natura e ad espressione dell’atavica mancanza di un senso di identità e di continuità.
Con l’annessione della Sicilia, l’Italia ha – non c’è dubbio – acquisito l’eredità tanto preziosa quanto difficile di una terra, che, afflitta da cronici mali, periferica e distante, lo Stato unitario ha di fatto abbandonato a se stessa, lasciandola schiava colpevolmente sottomessa – e anzi sin dall’inizio alleandosi con essa – di quella forma di governo sotterraneo e violento, di quel potere occulto e pervasivo che ancora oggi, ultimo ‘nemico’ della sua cultura e della sua crescita, le impedisce, appunto, di diventare grande.
Eppure, da qualche decennio, grazie all’esempio appassionato e all’impulso fornito da numerosi amministratori locali, si è avviato un processo mirante alla promozione e alla tutela dell’immenso patrimonio storico, artistico e naturalistico dell’Isola, il cui potenziale turistico è ancora lontano dall’essere pienamente valorizzato, nonostante questa Terra sia ormai da secoli meta di viaggiatori illustri, che le hanno dedicato celebri pagine di indimenticabile intensità e che una recente, intelligente iniziativa ha reso protagonisti di una struttura museale, nata a Palazzolo Acreide (Siracusa).
La Sicilia, infatti, entra nel sangue, coi silenzi inviolati dei suoi antichi templi o del possente Gigante che la domina, l’Etna, o col frastuono coloratissimo dei suoi mercati pulsanti di vita; coi paesaggi brulli e immoti come pitture del suo entroterra, o con la vegetazione lussureggiante delle sue coste e dei suoi monti; con l’azzurro sempre vivido dei suoi mari mossi dalle correnti, o con il nero della lava sulla cui lapidea tavolozza poggiano e si esaltano i mille colori della provincia etnea; con le atmosfere metropolitane di Palermo e Catania, o con il quieto respiro senza tempo della manciatina di isole sparse come perle ornamentali nei mari di Messina, Trapani, Agrigento e Palermo…
Benvenuti, dunque, e alla prossima: i Siciliani hanno ereditato dai Greci il senso sacro dell’ospitalità.
Quindi, se li fermerete per strada alla ricerca di un’informazione o per qualunque altro bisogno, dimenticheranno che, come tutti ormai oggigiorno, stavano andando di fretta.