IL LIBRO: Sebastiano Caboto, veneziano per nascita e cosmopolita per vocazione, racconta in questo romanzo le prime esperienze di cartografo e la frequentazione di quel cenacolo di astronomi, geografi, navigatori e stampatori che, insieme, stavano dando forma, nell’Europa fra quattro e cinquecento, al mondo come lo conosciamo oggi. Ma soprattutto racconta i viaggi, il mare e l’avventura, in un’epoca, a ridosso delle imprese di Colombo, in cui le descrizioni dei navigatori erano un impasto di rigore scientifico e di racconti fantastici; in cui l’uso di strumenti di precisione si mescola alla credenza in leggende e suggestioni antiche; in cui le tempeste si scansano per una scelta accorta della latitudine e per le preghiere delle donne rimaste a casa ad aspettare. Racconta l’ansia di affrontare «l’ignoto davanti a noi», la necessità di piegarsi all’evidenza che navigando a Ponente per giungere a Levante si incontra una nuova terra, immensa, tutta da esplorare, da capire, da attraversare, da spiegare.
UN BRANO: "«Venezia è questa?» «Quello è solo un disegno.» «E tutte queste linee a cosa servono?» «Aiutano il navigante a tracciare la rotta.» Torno a studiare la carta. Il silenzio assorto con cui mio padre ora mi scruta mi fa sorpresa. La mia curiosità lo impiena d’orgoglio. È un attimo. Sollevo allora la testa e mi rivolgo a lui guardandolo dritto negli occhi. «Il mare è questo?» gli chiedo. Lui osserva dove il mio dito si trattiene sulla carta. «Sì, perché?» domanda a sua volta. «È piccolo. Me lo figuravo più grande.»"