L'isola di Bali è stata un mito della nostra epoca molto prima che questo termine «mito», così delicato da maneggiare, entrasse nel linguaggio comune con il risultato che tutto è «mitico» oltre che «allucinante». E anche molto prima che Bali diventasse un supermarket dell'esotismo a prezzi ridotti dove si commerciano Articoli Artigianali Globali rintracciabili a Chimaltenango come a Timbuctù.
Fino al secolo scorso la popolazione dell'isola era accusata di una ferocia non riscontrabile in altre aree dell'Indonesia. Il rovesciamento dell'immagine di Bali, diventata qualcosa tra il paradiso perduto e poi ritrovato e l'isola dell'amore libero, è stato la felice creazione di uno scelto gruppo di artisti e intellettuali europei in fuga, negli anni Venti e Trenta, dalla solita maledetta civiltà europea e da altre più realistiche minacce.
Nel secondo dopoguerra la fama già molto grande di Bali venne ampliata e consolidata da Una casa a Bali, forse il libro migliore e certamente il più suggestivo mai pubblicato sull'isola. McPhee lo scrisse dopo aver abbandonato la sua amatissima isola e una casa stupenda costruita in mezzo a una verzura lussureggiante e con la vista sul fiume.
Il suo grande merito è stato quello di averci dato un ritratto impareggiabile di un mondo ora definitivamente scomparso, attraverso lo studio e l'analisi di una musica mai sentita e che dopo è stata paragonata agli esperimenti dell'avanguardia europea dei primi del Novecento, servendosi di una scrittura in cui l'attrazione fatale provata da Colin McPhee è ironicamente commentata senza lasciarci presagire la tragica fine del suo autore.
S.M.