Da una guerra di ottimistica «conquista» a un conflitto di drammatico sfinimento. È il cursus di questo diario, imbarcatosi dapprima per la Libia, quindi in trincea sull'Isonzo. Pagine piane, scritte per raccontare una tragica quotidianità vissuta - nonostante la prigionia austriaca - con una levità che sbigottisce. L'autore sembra più pensare che non raccontare, tanto è leggero e naturale l'incedere dell'opera. Nel tascapane ha un romanzo di Zola, uno sguardo sereno e una penna da intingere ora nel sangue del campo di battaglia ora nel cielo delle traversate marittime, fragile quiete nell'attesa del nuovo fronte. «In quell'inferno fui testimone della fine di due ufficiali superiori. Addossati al muro di una casa della piazza, scorsi il comandante della cavalleria e il nostro maggiore che spalla a spalla si difendevano dagli attacchi. Allorché apparve chiaro che non c'era più possibilità di scampo, quasi simultaneamente si puntarono la pistola alla tempia». Felice Fossati nacque in Francia, a Romans, nel 1893 da famiglia milanese. Seguì gli studi primari all'Accademia di Nancy e li concluse a Milano, dove tornò con i genitori. A diciotto anni volò a Zarate, in Argentina, e qui lavorò come contabile per l'azienda edile dello zio. Richiamato in Italia per il servizio di leva, ripartì quasi subito come volontario in Libia. Rimpatriato allo scoppio della Grande Guerra, fu spedito al fronte. Fu fatto prigioniero nel corso della strenua difesa di Pozzuolo del Friuli. Venne quindi trasferito a Vienna e, da qui, in una tenuta agricola ad accudire il bestiame. Nel 1919 tornò a Milano. Morì nel 1964.