Il mistero Giacobeo tra monti e oceano:
• Spiagge, scogliere, tavole da surf - varianti on the road
• 200 km a pedali con i «bicigrinos»
• Bilbao, benvenuti nell’archi-città
Editoriale di Walter Mariotti
SENZA MAI SENTIRSI DA SOLI
Più che una questione di allenamento, l’intraprendere un cammino è un fatto di carattere. È una scelta che mette alla prova non tanto i nostri polpacci quanto piuttosto il nostro io più profondo. Quello spirito che dopo le prime tre-quattro tappe, quando gli spallacci cominciano a segnarci, quando le gambe al mattino pare non si vogliano rimettere in moto, quando si osserva il gps e si scopre che nonostante tutto mancano ancora così tanti chilometri, ci porta a guardarci finalmente dentro.
Un cammino denso di spiritualità come quello che conduce a Santiago de Compostela, «la» meta per eccellenza di decine di migliaia di pellegrini contemporanei, costringe più di ogni altro itinerario a una resa dei conti con il proprio spirito. I passi, tutti uguali, come un mantra fisico che ci fa stare con i piedi attaccati al suolo, segnano quel ritmo di sottofondo che fa volare i pensieri, sul quale si srotolano le eterne domande dell’uomo: «A che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo infinito seren? Che vuol dir questa solitudine immensa? Ed io che sono?» (Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). Domande che per chi sceglie di percorrere il pellegrinaggio Giacobeo lungo la «Via del Nord», ricevono una risposta potente e ineffabile, che le fa rimbalzare, rotolare, ritrarsi e schiantarsi all’infinito. È la risposta dell’oceano, di quel blu-azzurro infinito che accompagna il Cammino per quasi 600 chilometri. Un oceano freddo e arrembante accanto al quale si percorrono interi tratti solitari, che a volte scompare quando ci si inerpica in qualche passaggio montano ma è sempre lì, pronto a ricomparire dietro un picco, alla fine di una svolta. È un richiamo costante a quell’oltre («Ultreia!») che dà la spinta a chiunque si metta sulle orme di San Giacomo, oggi come mille e passa anni fa. Ci si perde, guardandolo, e il suo orizzonte senza limite può far sentire ancora più lontana e impalpabile la meta d’arrivo. A un certo punto ti senti perso: Che vuol dire questa solitudine immensa, e io che sono? La rabbia delle sue onde batte sulla rabbia delle risposte che spesso non arrivano, su quella sensazione di aver perso la bussola, nonostante la tanta (troppa) tecnologia che accompagna il nostro andare. Ma poi a un certo punto scatta qualcosa dentro. Quello sciabordare, quella nebbiolina vaporosa che si respira la mattina appena dopo l’alba, quel silenzio rosato che accompagna il tramonto diventano giorno dopo giorno più familiari, l’oceano neghittoso si trasforma in un compagno che sai che è lì, che se ti volti è pronto ad ascoltarti, che ti guida senza giudicarti, che ti regala un respiro quando sembra che i polmoni proprio non ce la facciano più. Il blu-azzurro diventa uno specchio, capace di riflettere pensieri e stati d’animo, paure e speranze, ci puoi gridare contro o sussurrargli e non importa: lui comunque ti accoglie. E vai avanti.