Romanzo ironico e coinvolgente, ritratto delle sezioni del CAI prima austro-ungariche, poi italiane, inglobate nel III Reich, occupate dalla Jugoslavia comunista e infine smembrate tra Italia e Jugoslavia.
Romanzo anomalo, tra storia e alpinismo, "bello, denso e drammatico" come ha scritto Mario Rigoni Stern. Saga secolare in bilico tra contrapposti nazionalismi, "scrupolosa nei dettagli e ansiosa di chiarezza" secondo gli storici Apih e Sala. Ma anche ironico e coinvolgente ritratto di famiglia delle sezioni del CAI ritrovatesi prima austro-ungariche, poi italiane, inglobate nel III Reich, occupate dalla Jugoslavia comunista, dagli anglo-americani e infine smembrate tra Italia e Jugoslavia. Negli amori e negli odi tra gli alpinisti della sua terra - massoni irredentisti o fedeli all'Austria, scrittori come Italo Svevo e Umberto Saba o ministri triestini del Duce, alpinisti ebrei perseguitati o giovani rocciatori caduti durante la Resistenza - Sirovich cerca il bandolo della sua identità di uomo di frontiera e lascia aperto un interrogativo imprevisto e inquietante.