Cime irredente è l’ironico e coinvolgente ritratto di famiglia di una sezione del Club alpino italiano, che dal 1883 a oggi ha riunito nobili austroungarici, famosi scrittori, massoni di spicco, alcuni ministri di Mussolini, una decina di partigiani diciottenni, ebrei e antisemiti, eroi e delatori, tutti uniti dalla comune passione per la Montagna. Lo ripubblichiamo perché questo inconsueto racconto di confine tra storia e alpinismo continua a essere attuale in questi nostri tempi inquieti. Teatro dell’azione è il territorio di Trieste, ritrovatosi prima austroungarico, poi italiano, inglobato nel III Reich, occupato dalla Jugoslavia comunista, dagli angloamericani, e infine smembrato tra Italia e Jugoslavia. I protagonisti di queste vicende storiche esploravano insieme le grotte del Carso o sfidavano le Dolomiti come fratelli. Ma quando la Storia bussò anche alla porta del circolo, Caino tradì Abele fino alle estreme conseguenze: le fucilazioni, la Risiera di San Sabba, le foibe. Colpa delle paure quasi ancestrali, delle vendette, che coinvolsero i nostri padri e che essi non ci hanno raccontato; ed è forse anche per questo che sembrano ritornare inspiegabilmente alla luce. I componenti della “famiglia alpinistica” triestina si divisero soprattutto sul modo d’intendere il patriottismo e la convivenza con gli altri popoli, che alcuni chiamavano “allogeni” o “inferiori”. Così fu di loro e di alcuni dei loro figli – compreso l’Autore – in un’Europa dove il passato stenta a togliere il disturbo.