"Nessuno sa dov'è il pericolo, prima. Tutti lo sanno dopo, quando è passato. O ti è passato sopra".
Qui lo dice nonno Iaco Casal che paria del mondo durissimo di chi come lui abitava la montagna, fino a non molto tempo fa, ma è così sempre, anche in pianura, anche in città, anche in questi giorni. Eppure. Eppure è diverso affrontare la bufera oggi. Perché si è soli. E straordinario come tutto, proprio tutto, venisse ricompreso, assorbito, accolto, nel piccolo mondo di Curva Casal raccontato da Antonio G. Bortoluzzi. Anche la tragedia dell'alluvione, che si porta via le case, ma insieme vengono ricostruite. Una banca del tempo spontanea, che non prevede interessi: un'ora, cento, duecento ore di lavoro per costruire la casa a te, e le stesse ore tu mi dai per costruire la casa a me. La vita è tremenda, nessun romanticismo, chi scrive parla di storie che ha vissuto, un po' trasfigurate come deve essere, ma si riconoscono. La povertà c'era, il lavoro era troppo, ma era un lavoro con un ritmo di natura, non quello di oggi che si mangia la vita intera e chiuso nei capannoni della pianura non sa nulla delle stagioni. Non sa della neve, del freddo, del caldo. Solo lavoro. E se vien meno il lavoro, vien meno la vita. Come abbiamo potuto? Se lo chiede il protagonista della storia, ce lo chiediamo noi.
(Mariapia Veladiano).