Cent’anni e se ne parla ancora. Quella Guerra che fu definita “grande” e che papa Benedetto XIV (1917) bollò come “inutile strage”, dal 2014 è al centro di convegni di studio, rievocazioni, seminari e manifestazioni. Soprattutto in Trentino-Alto Adige e nella Venezia Giulia, dove la chiamata alle armi si avviò un anno prima rispetto all’Italia.
Di solito, la storia è scritta dai vincitori.
In quella guerra i nostri nonni, mandati al fronte come vittime predestinate nell’estate del 1914, furono dalla parte dei vinti.
Invischiati e coinvolti, loro malgrado, in una “guerra tra parenti” quale fu il primo conflitto mondiale. Metà delle teste coronate d’Europa, infatti, era imparentata direttamente; l’altra metà per via dei matrimoni combinati tra le Cancellerie più che per l’iniziativa dei nubendi.
Quella sterminata carneficina si sarebbe potuta e dovuta evitare. Così non fu. Nelle Valli del Trentino, quando arrivò l’ordine della mobilitazione generale, i nostri nonni dovettero lasciare la zappa nel campo, la falce sul prato, la vacca nella stalla, la famiglia in lacrime. Non ne capivano la ragione ma furono costretti a obbedire.
Di sessantamila chiamati alle armi per difendere gli interessi della corona di Vienna, quasi dodicimila finirono sepolti nei cimiteri improvvisati della Polonia e dell’Ucraina, in Galizia.
“Italiani sbagliati” ai quali, per decenni, fu negato dall’Italia perfino l’onore della memoria. Erano morti da “nemici” anche se figli di una terra che si voleva a tutti i costi “redenta”.
Per contro, ai poco meno di mille che, allo scoppio delle ostilità, passati dall’altra parte, si arruolarono come volontari con la divisa dell’Esercito italiano, fu riservato un posto d’onore nei libri di storia e furono alzati monumenti celebrativi a quegli “irredenti” morti da Italiani, pertanto da eroi.
Dieci mesi dopo l’inizio della guerra europea, quando pure l’Italia entrò nel conflitto, settantacinquemila civili del Trentino furono mandati oltre Brennero, deportati o profughi nelle “città di legno” dell’Austria-Ungheria; altri trentacinquemila finirono dispersi in 264 comuni italiani, in una lacerazione che smembrò Comunità e singole famiglie.
Nel corso del 2014 e nei primi mesi del 2015, la rivista “Trentinomese” (Curcu&Genovese) ha dedicato un “racconto a puntate” alla guerra che cambiò i confini d’Europa; che trasformò in territorio italiano una terra dove i dotti parlavano la lingua di Dante, la stragrande maggioranza della popolazione la comprendeva, ma per otto secoli era stata legata all’area tedesca dell’Impero germanico e della Contea principesca del Tirolo.
Con un incredibile effetto domino, la guerra del 1914-1918 coinvolse 28 Nazioni, tutta l’Europa, gli Stati Uniti (dal 1917) e perfino l’Estremo Oriente.
Fu chiamata “Grande” ma solo perché coloro che la subirono o furono costretti a combatterla videro il sangue correre a fiumi e crescere accanto sterminate foreste di croci.
Chiamato alle armi con un avviso dal pulpito o dalla cartolina-precetto, nell’estate del 1914 un popolo di contadini-soldati si ammassò sui fronti degli Imperi centrali.
Partirono che erano giovani.
Coloro ai quali la sorte risparmiò la vita tornarono a casa già vecchi.
Dopo quattro anni di guerra, i Trentini si ritrovarono cittadini italiani.
Ma a che prezzo…