Aveva creduto che la guerra fosse per lui il modo di sentirsi parte di quell'Italia che muoveva i primi passi, per questo era tornato dall'Argentina. Non immaginava di trovarsi in una tragedia tanto più grande dell'emigrazione. Conobbe le trincee dell'Altopiano, le rocce del Carso, le acque fredde del Piave. Ma soprattutto l'angoscia del sentire la morte accanto. Non furono le medaglie che gli rimasero sulla pelle sino alla fine, ma le ferite.
Insieme a lui 7 milioni di italiani scoprirono di essere figli della stessa Patria che per riconoscerli ne chiedeva la vita. Tutto iniziò e finì nel Triveneto. Dal 1915 al 1918 un esercito di contadini, pastori, bottegai e operai, quasi per metà di analfabeti, senza una lingua comune, male armato e peggio vestito andò al massacro.
"L'esercito dei gobbi", come sprezzatamente lo definiva il generale Cadorna, seppe comunque lottare, morire e vincere la sua guerra. Uno su dieci cadde in trincea. Oggi in ogni piccolo paese c'è un monumento ai Caduti della Grande Guerra. I trattati di pace non misero fine alle tensioni, alla disoccupazione, all'emigrazione, ma spalancarono il baratro delle dittature e di una ancora più terribile guerra.