Ricominciare
Da una parte c’è lei, la montagna: enorme, eterna, altera. Dall’altra c’è lui, l’uomo, l’alpinista. Alla montagna ha dedicato la propria esistenza: in montagna è nato, in montagna è cresciuto, in montagna ha rischiato di morire.
K2, agosto 2008. Un gruppo di alpinisti di diverse nazionalità, dopo settimane di attesa sul terreno ghiacciato del campo base, dà l’assalto alla vetta. Partono in diciassette. Undici non fanno ritorno. Marco Confortola è tra i sopravvissuti. La discesa dalla cima rappresenta una delle pagine più epiche dell’alpinismo himalayano: freddo, paura, rabbia, determinazione, in tutto quel bianco c’è il senso di una vita, c’è ogni cosa.
17 settembre 2008: Marco Confortola subisce l’amputazione di tutte le dita dei piedi.
Dopo un anno e mezzo, tra delusioni e speranze, salite e discese, l’alpinista valtellinese ci riprova: di fronte ai suoi occhi, il Lhotse, 8516 metri, una delle quattordici montagne più alte della Terra.
Diventato guida alpina a soli 21 anni, Marco Confortola è uno dei nomi più affermati dell’alpinismo internazionale. Dal 2004 al 2008 ha raggiunto la vetta di sei ottomila: Everest, Shisha Pangma, Annapurna, Cho Oyu, Broad Peak e K2. Il 14 maggio 2010, approfittando di una finestra di bel tempo, lascia il campo base del Lhotse, il settimo ottomila della sua vita. Per Dalai editore nel 2009 ha pubblicato Giorni di ghiaccio. Agosto 2008. La tragedia del K2.